PoiLaSeraSiRibaltaEUn’OraAvan tiCade.

La sera lascio un’orma
nella neve
con il mio piede da bambino
e il mio amico innamorato
da dietro un obbiettivo se la ride
e gli si ammatassano i capelli
tutto gira senza addormentarsi mai
Non puoi e lo sai
lasciare cadere e rompere le ossa
con fragore alla tua solitudine
Non puoi e lo sai
che questa poesia non la scrive
la mano
non la scrive l’uomo
che l’arte è pattumiera di indicibili
che tutto è teatro
e io sul palco bestemmio
Poi mi siedo e ci ragiono
“Buk ho mangiato carne di cavallo”
e non mi è piaciuta
L’immagine di me è debole
l’otturatore si incanta
il sole sorge a testa in giù
mentre qualcuno poi ha dormito
innamorato
Quel qualcuno mi somiglia.
Usa i miei lacci gialli.
Non preoccuparti silenzio
ti uccido senza dolore.
Fragoroso il mio passo sulla neve.
Il mio amico innamorato ride
e rido anch’io
e ride lei
e il sole a testa in giù.

-Francio-

Fotografia economica

I palazzi increspavano le anime.
Il cielo. Il cielo lì non lo avevo mai visto.
Forse perchè si confondeva con i tetti.
Ma era bello. Veramente.
Mentre cercavo un marciapiede su cui la schiena stendere
trovai uno strappo di carta.
La fine di ogni foglio è una bruciatura gialla nell’angolo delle parole.
Un disegno.
O nuvole tratteggiate.
Finii per raccoglierlo.
Lo lessi e lo bruciai.
Tutto qui.
C’erano automobili che si portavano via la mia immagine.
Ma ero solo un bambino.
Un viso come un altro.
-Francio-

Così che deve

Necessità primaria. Rende l’idea. Per me scrivere è una necessità primaria. Fine e ultimo scopo. Ideogramma dopo ideogramma contornarmi di parole. Fermo lo scorrere degli occhi e fisso la sua mano che percuote il vuoto. L’onda delle dita a seguire il palmo.
Disegna asole e le incrocia con stoccate precise nel centro. Un flusso a volte alterno di movimenti leggeri. E le parole prendono forma. Io siedo, come sempre, al di fuori. La guardo. Mi guardo. In quanti siamo in questa stanza? Non saprei rispondere. Con la ragione di poi una quantità potrei stimarla. Ho contato gli occhi in cui mi son specchiato. Ma ho contato i miei. Limita le situazioni la sua mano. Le dita graffiano l’aria a volte. Distrugge tele d’ossigeno. Il suo dire è fare. Il suo dire è dolce cosa. Parla ancora. Perchè nel sonno taci? Ma sulla tua mano, si su quella mano su cui ora poggi il viso, son rimasti frammenti della pelle di altri uomini. Su altre mani frammenti della tua pelle. Nei tuoi pensieri altra pelle. Il mio Otello si sveglia. Attore in una commedia. Son Il Verri in un angolo della stanza. Perchè non son più sul mio tavolo, pur sempre fittizio, di osservatore partecipe, a razionalizzare? Dove si disperde l’esser mio distaccato? Tu Otello, pallido moro della mia inquietudine, suicidati. Melodrammatico pensatore. Puttana vita mia, sempre pronta a prostituirti al primo vagheggio traditore. Bolo di gelosia isterica. Bisogno del possesso completo. Vano tiranno il mio viso. Perverso sceneggiatore di me stesso. Puttana vita mia. La stada incrocia binari, ne incrocia fino a diventare un’autostrada nel buio di una notte di agosto e allora diventa poesia. Raschio asfalto di pazzia da sotto unghie invecchiate nel malcoltento. Mi siedo ad osservarmi mentre mi rifletto in uno specchio. Smettila. Smettila. Infarcisci il testo di bestemmie. Smettila. Hai imparato a dipingere per non toccare mai un colore diverso. Impara. Impara. I passati conoscili. I passati apprezzali. La sua mano varca lo spazio e lo cancella. Le tracce, anche le più piccole, incastrate sottopelle son state lavate via. La guerra finita non nasconde i morti. Il mio errare è vano. Cancello il colore. Mi cavo dalle orbite il verde. Scaglie di un drago spento. Aspiro fino a che America brucia sulla carta. Puttana vita mia cambia mestiere. Hai morso il frutto e te lo sei dimenticato in frigo a marcire. Un torsolo secco, ingiallito, neache buono per il concime. Svita i tacchi dal tuo seno. C’è un fiore nuovo da coltivare. Muove i petali che sembran dita a razzolare nell’aere. Riesci a sentirne il profumo. Il sapore. La consistenza. Schiaffeggiami. La conoscenza non è potere. Il sapere non nobilita. Sapere e conoscenza sono controllo. Il controllo è teorico. Sillogismo da non effetturare. Ma quando poni l’ultima carta del tuo castello il soffio di un piccolo e ingnavo pensiero fa crollare le fondamenta. Ti ritrovi stupido, infastidito, solo, con l’ultima carta rossa ancora in mano. La tieni per il lato superiore, verso l’angolo. Ne vedi solo il dorso. Non la giri neppure per vedere la figura. No. Sposti le rovine del tuo meticoloso passatempo e ricominci. Propio con quella carta. Anche se è stata lei la causa primaria. Il danno creativo. Mezzora di svago dai propi doveri. Si ritorna al nozionismo bieco e sterile. Contestualizzo il mio scrivere. Non c’è nessuno scopo. Puro divertimento estetico. Suono melodico di qualche sillaba. Mero lazzo. Ripenso alla sua mano. La contestualizzo. Uno scopo c’è. La afferro. La stringo. Come se quella pelle in più l’avessi sempre voluta. Dita che sfregano i loro fianchi. Amanti. Necessità primaria: averla. Rapite pure tutta la carta, tutti gli schermi e i blocchi note. Come potreste rubarmi tutto l’ossigeno se non avessi polmoni. Calma il respiro. Il frullatore della gelosia sminuzza i sorrisi. Come puoi far intristire i suoi occhi. Le lacrime lascia che le conservi per una gioia più grande. Smussa l’angolo del tuo giudizio. Puttana vita mia. Ti regalerò un velo con cui cingerti il viso. Rilassa i contorni del foro di proiettile. Assimilalo. A volte mi confondo con la lama e il suicida. Apprezza l’ora dell’orologio che non corre. Fatti ghirlanda delle sue lancette. Stringi più forse la sua mano. Stringila fino a fonderle insieme. Il sole delle sue labbra rischiarerà le tue ciglia ricurve. Inciampo sulla mia ellisse intorno a lei. Rallento la mia rivoluzione. Cilindro e pistone. Stringo solo ancora un pò di più. Un insignificante livido che si riassorbe. Quante mani ti faresti amputare per arrivare in cima al cielo? Quante ne posso acquistare? Riempio il bianco assillante. Gorgheggio con le coordinate. Poche virgole. Nessuna nuova accezione. Povertà di neologismi da collaudare. Stringo nel pensiero la sua carne e sono un po’ più contento. Meno frasi nella testa da dover scrivere. Mi dispero, al contempo, di aver sfumato il trucco del tempo con una piccola lacrima trasparente. Necessito di sbagliare e che lei mi mostri il mio errore. Di passo in passo cresco. Sarò uomo un futuro. Sarò con lei. Riempirò le sue mani di frammenti della mia pelle di giorno in giorno. E viceversa. Uno strato esterno suo su di me. Il vestitò più bello. Scivolo sulla visione del suo corpo. America brucia di nuovo, sola, sulla carta. Solo io a ubriacarmi di jazz e assuefarmi di lettere. Riposate scrittori dei miei lombi, altro ho da pensare. Altro ho da amare molto più di voi. E a differenza vostra lei ha un nome e occhi con contorni netti. Lei ha una voce che posso toccare con i sensi. Voi, povere mie creature, vi azzannate per avere il controllo. Dannati in un girone di un aldilà ateo.
Che empireo mai sognate? Una rosa ormai appassita. Sete sociale la vostra religione in frantumi. Vi tradisco. E il mio tradimento è santo. Una preghierà la conosco e la pronuncio quando faccio scorrere lei sulle mie labbra. Lettera seguita da lettera. Centimetro dopo centimetro sul suo corpo. Osservate come le vostre pupille si son sbiadite. Sarò uomo un giorno. Sarò lo scrittore dei miei versi. Io. Mica voi. Rimante nel grasso dei miei lombi. Assorbitelo. Diventerete pingui. Uno per uno collasserete. Ischemia poetica.
Non ho bisogno di voi. Perchè voi non avete il profumo delle sue labbra quando si schiudono a chiamarmi. L’aria si muove gravitandoci attorno. Ne sento più il suo peso? Cambio giro di accordi. Chiudo gli occhi. Sarò un uomo. Ogni giorno faccio un passo in più tra le sue braccia. Necessità primaria.
-Francio-

Gioco in metrica potenziale

ascolto in progressione
di soli a raggrumar pazienza
tra le pareti di uno stanco soggiorno
rumore dei tasti a colorar l’oblio
di miti parole mi son fatto redentore
segni di chiodi a disegnare il bianco
casse ronzanti
non le sentirò nemmeno
con gli occhi chiusi
ordino un momento per riaggiustare
i miei pensieri che non funzionano
incastro la biro tra le dita
e a forza scrivo
una storia
che non è mia
come questa poesia che ha perso
il gusto
perchè di me c’è solo la trasparenza
un gioco storto e deforme
che alla luce brucia senza ombra.
-Francio-

il guardiano

ebbene?perchè mi guardi?
parla non nasconderti
sono un faro
è così che so guardare
nient’altro
un faro che spia che aiuta che gestisce
le rocce
sono le rocce
un incidente
nient’altro
qualcosa da salvare
qualcosa di legno che l’acqua scalfisce
qualcosa di amico
osservare e digerire e bere poi d’un fiato
nient’altro
è così che so guardare
ritienimi ingenuo
ma non ritenermi
nient’altro
parole
nient’altro, nero poi bianco poi nero poi bianco poi nero poi acqua salata poi roccia poi faro poi dentro di me ritienimi salvo che solo non so come dire che essere bimbo felice
nient’altro
ebbene?
è così che so guardare

è così
è così
sono un faro dentro
nient’altro

Scivere intorno al sistema complesso e dilagante di tensioni per piccoli

C’era un cielo libero
blu e bianco
blu e bianco
blu e bianco
con in nero l’ombra dell’impiccato
in nero il profilo dell’impiccato
tutta la città dei bambini sotto l’albero a criticarlo
tutta la città dei bambini sotto l’albero a dargli torto
hanno sciolto il cappio e l’hanno deposto sulla terra
e sulla terra lui ha parlato
e sulla terra lui ha recitato
ma alla gente quello che ha detto non è piaciuto
alla gente quello che ha detto non è piaciuto
e lo hanno ri-impiccato
lo hanno crocefisso di nuovo
e i bambini ora erano contenti
i bambini erano felici
i bambini potevano sparlarne
e anche quelli che non avevano assistito dicevano la loro
anche quelli che erano stati dietro i vetri dicevano la loro
e l’impiccato si è messo a ridere
l’impiccato si è messo a ridere
Il cielo è rimasto pulito
blu e bianco
blu e bianco
blu e bianco
e i bambini non sono cresciuti
i bambini non sono cresciuti
e l’impiccato è rinato
rinato di nuovo
non aveva mai respirato così.

-Francio-

Discorso a me.. ed è come parlarti (inamandosi)

Bestia aspra
gelosia
cancro amaro
gelosia
coltello feroce
gelosia
parole che non avrei voluto sentirti dire
l’animale a rodersi che parla dalle tue labbra
ferito
da te
da me -idiozia connaturata in uomo a fingersi-
metastasi condivise
alimento il cancro
alimento il cancro
non so dargli forma
ma abil son di portargli nutrimento fresco
affili le tue unghie
e tremore il sangue mi si fa
per il cuore che nelle tue mani ho posato
con annese vene, arterie, capillari
non riesco
non riesco a non amarti
perchè non voglio
perchè non posso
la monnalisa che abbassa gli angoli del suo sorriso
il cancro infuria
fera irrazionale
a razzolare nello stomaco
gli orologi scorrono
le clessidre terminano
e in ogni granello che ho da far scorrere
voglio ridere
voglio ridere con te
e che il mio sorriso nel tuo si amplifichi
e viceversa
e viceversa
parole non mie in tempi non nostri
biada e pastura
per le zanne a raschiarti
ho deposto le mie armi davanti ai tuoi occhi
colpiscimi
se la mia stupidità ti divora
uccidimi
e se l’assassino consapevole sarai tu io morirò ridendo
io uccido e non lo so
e la mia colpa è doppia
e la mia colpa è doppia
pecco di semplicità
egoismo
buonismo
nei confronti di un’odiosa umanità amata
nei confronti di chi ha bisogno non mi ritraggo dall’aiuto
ma se per questo devo vedere rabbia nei tuoi denti
mi troncherò le mani
parlerò più piano
piano piano
soppesando soppesando
un congiuntivo e un si
senza mai perdermi
senza mai perdermi
E alla nuova luna pianteremo nel terreno giovane un seme
e le antiche piogge raccolte lo cresceranno
e l’albero in potenza
sarà atto
saremo noi
saremo noi soli
sempre
a bruciare pelle nuova con ragione
a bruciare pelle nuova con ragione
chemioterapia di noi
a debellare il male
che questo cielo di screzi rosa non possa più frantumare.

Ti amo donna mia

-Francio-

18.12 un pomeriggio tra i miei piatti a pensare

Caldo a brividi
aria appiccicosa
leggo
e mi immagino di capire ciò che le parole delineano
stanotte ci siamo amati
lo facciamo sempre
assaggia il frutto
dimmi che sapore ha
che acrobazie fa sulla tua lingua
tutto un gioco di neuroni
siamo solo un insieme complesso di aminoaccidi
ma
stanotte
stanotte ci siamo amati
lo facciamo sempre
ci hanno guardato
e hanno riso
chissà che si aspettavano
tra un bicchiere
e altre bottiglie da congedare
son scivolati i discorsi
come ti senti?
quanto tempo è passato?
credevo di non avere ali
per te angelo con cui mi dimentico di volare
la musica in danza
dentro al fuoco di candele rosse a galleggiare
Ama il frutto

il fiore della carne
mio & tuo
stavo dipingendo una grande tela
ma mi è sembrato inutile
l’arte è cornice
il bianco non me la son sentita di sporcare
era tanto bello
tanto simile alla mia idea di perfezione
propio quella che non credi di avere
quante volte dovrò ripetertelo
pulisci i tuoi occhi dal trucco
non ne hai bisogno
appoggia il tuo viso sul cuscino
guardami
ricorda quanto stanotte ci siamo amati
come sempre facciamo
faremo
abbiamo fatto.
Onde a frequenza regolare.
Scompongo i suoni.
Mi scrollo di dosso la polvere della distanza.
Ho ali forti.
Ma non mi interessa volare.
Stanotte ci siamo amati
e del cielo che me ne posso fare?
-Francio-

Corpose oscillazioni sul ricamo della luna (manie trasverse)

Raccogli il vino che ho rovesciato
in controluce sulle mie parole
Giri di pellicola ad ardere.
Come ti ho odiato.
Dio con le tue parole di demoni.
Cavalca l’attimo in cui mi uccido
silenzioso.
Paure a divorarmi.
Ingoiami.
Riducimi a carne esangue.
Pensami e sarò eterno.
Il tuo urlo con le vene inaridite.

Impegnati di più la prossima volta.
Rimbocca la tua camicia bianca.
Stringi il nodo..

Massacri me
uccidendo te stesso.
Ridi e fregatene
Bevi e dimenticatene

Sto in silenzio da una vita.

Quello che ho scritto è solo follia.

Una boccata in più che ignora la notte..
-Francio-