Così che deve

Necessità primaria. Rende l’idea. Per me scrivere è una necessità primaria. Fine e ultimo scopo. Ideogramma dopo ideogramma contornarmi di parole. Fermo lo scorrere degli occhi e fisso la sua mano che percuote il vuoto. L’onda delle dita a seguire il palmo.
Disegna asole e le incrocia con stoccate precise nel centro. Un flusso a volte alterno di movimenti leggeri. E le parole prendono forma. Io siedo, come sempre, al di fuori. La guardo. Mi guardo. In quanti siamo in questa stanza? Non saprei rispondere. Con la ragione di poi una quantità potrei stimarla. Ho contato gli occhi in cui mi son specchiato. Ma ho contato i miei. Limita le situazioni la sua mano. Le dita graffiano l’aria a volte. Distrugge tele d’ossigeno. Il suo dire è fare. Il suo dire è dolce cosa. Parla ancora. Perchè nel sonno taci? Ma sulla tua mano, si su quella mano su cui ora poggi il viso, son rimasti frammenti della pelle di altri uomini. Su altre mani frammenti della tua pelle. Nei tuoi pensieri altra pelle. Il mio Otello si sveglia. Attore in una commedia. Son Il Verri in un angolo della stanza. Perchè non son più sul mio tavolo, pur sempre fittizio, di osservatore partecipe, a razionalizzare? Dove si disperde l’esser mio distaccato? Tu Otello, pallido moro della mia inquietudine, suicidati. Melodrammatico pensatore. Puttana vita mia, sempre pronta a prostituirti al primo vagheggio traditore. Bolo di gelosia isterica. Bisogno del possesso completo. Vano tiranno il mio viso. Perverso sceneggiatore di me stesso. Puttana vita mia. La stada incrocia binari, ne incrocia fino a diventare un’autostrada nel buio di una notte di agosto e allora diventa poesia. Raschio asfalto di pazzia da sotto unghie invecchiate nel malcoltento. Mi siedo ad osservarmi mentre mi rifletto in uno specchio. Smettila. Smettila. Infarcisci il testo di bestemmie. Smettila. Hai imparato a dipingere per non toccare mai un colore diverso. Impara. Impara. I passati conoscili. I passati apprezzali. La sua mano varca lo spazio e lo cancella. Le tracce, anche le più piccole, incastrate sottopelle son state lavate via. La guerra finita non nasconde i morti. Il mio errare è vano. Cancello il colore. Mi cavo dalle orbite il verde. Scaglie di un drago spento. Aspiro fino a che America brucia sulla carta. Puttana vita mia cambia mestiere. Hai morso il frutto e te lo sei dimenticato in frigo a marcire. Un torsolo secco, ingiallito, neache buono per il concime. Svita i tacchi dal tuo seno. C’è un fiore nuovo da coltivare. Muove i petali che sembran dita a razzolare nell’aere. Riesci a sentirne il profumo. Il sapore. La consistenza. Schiaffeggiami. La conoscenza non è potere. Il sapere non nobilita. Sapere e conoscenza sono controllo. Il controllo è teorico. Sillogismo da non effetturare. Ma quando poni l’ultima carta del tuo castello il soffio di un piccolo e ingnavo pensiero fa crollare le fondamenta. Ti ritrovi stupido, infastidito, solo, con l’ultima carta rossa ancora in mano. La tieni per il lato superiore, verso l’angolo. Ne vedi solo il dorso. Non la giri neppure per vedere la figura. No. Sposti le rovine del tuo meticoloso passatempo e ricominci. Propio con quella carta. Anche se è stata lei la causa primaria. Il danno creativo. Mezzora di svago dai propi doveri. Si ritorna al nozionismo bieco e sterile. Contestualizzo il mio scrivere. Non c’è nessuno scopo. Puro divertimento estetico. Suono melodico di qualche sillaba. Mero lazzo. Ripenso alla sua mano. La contestualizzo. Uno scopo c’è. La afferro. La stringo. Come se quella pelle in più l’avessi sempre voluta. Dita che sfregano i loro fianchi. Amanti. Necessità primaria: averla. Rapite pure tutta la carta, tutti gli schermi e i blocchi note. Come potreste rubarmi tutto l’ossigeno se non avessi polmoni. Calma il respiro. Il frullatore della gelosia sminuzza i sorrisi. Come puoi far intristire i suoi occhi. Le lacrime lascia che le conservi per una gioia più grande. Smussa l’angolo del tuo giudizio. Puttana vita mia. Ti regalerò un velo con cui cingerti il viso. Rilassa i contorni del foro di proiettile. Assimilalo. A volte mi confondo con la lama e il suicida. Apprezza l’ora dell’orologio che non corre. Fatti ghirlanda delle sue lancette. Stringi più forse la sua mano. Stringila fino a fonderle insieme. Il sole delle sue labbra rischiarerà le tue ciglia ricurve. Inciampo sulla mia ellisse intorno a lei. Rallento la mia rivoluzione. Cilindro e pistone. Stringo solo ancora un pò di più. Un insignificante livido che si riassorbe. Quante mani ti faresti amputare per arrivare in cima al cielo? Quante ne posso acquistare? Riempio il bianco assillante. Gorgheggio con le coordinate. Poche virgole. Nessuna nuova accezione. Povertà di neologismi da collaudare. Stringo nel pensiero la sua carne e sono un po’ più contento. Meno frasi nella testa da dover scrivere. Mi dispero, al contempo, di aver sfumato il trucco del tempo con una piccola lacrima trasparente. Necessito di sbagliare e che lei mi mostri il mio errore. Di passo in passo cresco. Sarò uomo un futuro. Sarò con lei. Riempirò le sue mani di frammenti della mia pelle di giorno in giorno. E viceversa. Uno strato esterno suo su di me. Il vestitò più bello. Scivolo sulla visione del suo corpo. America brucia di nuovo, sola, sulla carta. Solo io a ubriacarmi di jazz e assuefarmi di lettere. Riposate scrittori dei miei lombi, altro ho da pensare. Altro ho da amare molto più di voi. E a differenza vostra lei ha un nome e occhi con contorni netti. Lei ha una voce che posso toccare con i sensi. Voi, povere mie creature, vi azzannate per avere il controllo. Dannati in un girone di un aldilà ateo.
Che empireo mai sognate? Una rosa ormai appassita. Sete sociale la vostra religione in frantumi. Vi tradisco. E il mio tradimento è santo. Una preghierà la conosco e la pronuncio quando faccio scorrere lei sulle mie labbra. Lettera seguita da lettera. Centimetro dopo centimetro sul suo corpo. Osservate come le vostre pupille si son sbiadite. Sarò uomo un giorno. Sarò lo scrittore dei miei versi. Io. Mica voi. Rimante nel grasso dei miei lombi. Assorbitelo. Diventerete pingui. Uno per uno collasserete. Ischemia poetica.
Non ho bisogno di voi. Perchè voi non avete il profumo delle sue labbra quando si schiudono a chiamarmi. L’aria si muove gravitandoci attorno. Ne sento più il suo peso? Cambio giro di accordi. Chiudo gli occhi. Sarò un uomo. Ogni giorno faccio un passo in più tra le sue braccia. Necessità primaria.
-Francio-

Gioco in metrica potenziale

ascolto in progressione
di soli a raggrumar pazienza
tra le pareti di uno stanco soggiorno
rumore dei tasti a colorar l’oblio
di miti parole mi son fatto redentore
segni di chiodi a disegnare il bianco
casse ronzanti
non le sentirò nemmeno
con gli occhi chiusi
ordino un momento per riaggiustare
i miei pensieri che non funzionano
incastro la biro tra le dita
e a forza scrivo
una storia
che non è mia
come questa poesia che ha perso
il gusto
perchè di me c’è solo la trasparenza
un gioco storto e deforme
che alla luce brucia senza ombra.
-Francio-

il guardiano

ebbene?perchè mi guardi?
parla non nasconderti
sono un faro
è così che so guardare
nient’altro
un faro che spia che aiuta che gestisce
le rocce
sono le rocce
un incidente
nient’altro
qualcosa da salvare
qualcosa di legno che l’acqua scalfisce
qualcosa di amico
osservare e digerire e bere poi d’un fiato
nient’altro
è così che so guardare
ritienimi ingenuo
ma non ritenermi
nient’altro
parole
nient’altro, nero poi bianco poi nero poi bianco poi nero poi acqua salata poi roccia poi faro poi dentro di me ritienimi salvo che solo non so come dire che essere bimbo felice
nient’altro
ebbene?
è così che so guardare

è così
è così
sono un faro dentro
nient’altro